Dante è categorico nella lettera inviata a Cangrande della Scala insieme al Paradiso. Il fine della Commedia è quello di «Removere viventes in hac vita de statu miserie et perducere ad statum felicitatis» (Lettera a Cangrande della Scala) cioè quello di rimuovere noi viventi, finché siamo in vita, dalla condizione di miseria, di peccato, di tristezza, e di accompagnarci alla felicità e alla beatitudine.
La Divina Commedia è stata, quindi, scritta perché potessimo intraprendere il viaggio verso la felicità e la salvezza eterna.
Nonostante il poema dantesco sia un’opera che racconta un viaggio nell’aldilà, in ogni verso il Sommo poeta ci rivela l’al di qua, l’uomo e la vita di tutti i giorni con la potenza e la capacità di comunicazione che gli sono proprie.
Se tutti sono colpiti dalle parole cortesi di Francesca, dalla forza d’animo di Farinata e dal suo desiderio di «ben far», dall’ardore di conoscenza di Ulisse è perché il poeta racconta storie che testimoniano il cuore dell’uomo di ogni tempo. La Commedia ci spalanca una finestra sulla vita e sull’uomo di oggi, come del passato. Avvertiamo una comunione universale tra noi moderni e gli antichi, tra la nostra e la loro aspirazione alla salvezza, alla felicità e all’eternità. Ci accorgiamo che l’antico Dante sa esprimere noi stessi meglio di quanto sappiamo fare noi, così come il maestro Virgilio nel viaggio sa intendere il discepolo con più chiarezza di quanto questi sappia fare.
Non c’è verso della Commedia in cui non si respirino l’esperienza e la fatica di uomini che vogliono fare da soli e rifiutano la luce di Dio o di altri che, invece, si lasciano abbracciare dall’amore e dalla grazia.
Tutto il viaggio rappresenta il cammino nella vita di ogni uomo. Consigliamo a tutti di intraprendere il viaggio con Dante, di iniziare a guardare la profondità dell’animo e, nel contempo, la capacità di compiere il bene o il male che è insita in ciascuno di noi.
Dobbiamo guardare la selva oscura in cui ci troviamo, la solitudine del mondo, il non senso che percepiamo nelle nostre giornate. Noi tutti, quando ci troviamo in difficoltà, vorremmo risolvere i problemi da soli e salire il colle luminoso, la strada giusta, che abbiamo visto con i nostri occhi. Da soli, però, non possiamo farcela, perché roviniamo «in basso loco». Allora accade un imprevisto, un incontro che ci salva dalla selva oscura:
Mentre ch’i’ rovinava in basso loco,
dinanzi a li occhi mi si fu offerto
chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
«Miserere di me», gridai a lui.
La mendicanza è l’atteggiamento più vero che spalanca alla possibilità di salvezza. Da questo atteggiamento scaturisce la possibilità di iniziare a guardare la realtà in maniera più vera e di intraprendere un cammino imprevisto, come Virgilio ha consigliato a Dante: «A te convien tenere altro viaggio/ […] se vuo’ campar d’esto loco selvaggio».
La proposta che Virgilio avanza a Dante è di seguirlo, di stare in sua compagnia. Così, dopo che Dante è ancora preso dalla paura, anche nel secondo canto quando è convinto di non essere all’altezza, o nel terzo quando deve varcare la porta con sopra l’epigrafe spaventosa («Per me si va ne la città dolente»), Virgilio lo prende per mano «con lieto volto» e lo introduce alle «secrete cose».
Nel Dante che vuole salire il colle luminoso da solo, all’inizio dell’Inferno, ci ritroviamo noi tutti. Dobbiamo sperimentare che da soli non riusciamo a salire e dobbiamo come Dante gridare: «Miserere di me». Per grazia incontriamo una compagnia umana che ci salva dalla selva oscura, con cui poter intraprendere il viaggio di salvezza.
Ogni verso della Commedia ha la capacità di illuminare la vita quotidiana e la realtà in cui viviamo. Questo è il potere della grande poesia! Così, quando nel canto III del Purgatorio Virgilio è dispiaciuto per un piccolo errore che ha commesso, Dante auctor esclama: «O dignitosa coscïenza e netta/ come t’è picciol fallo amaro morso!», ovvero il poeta scrive che quanto più una persona è pulita nella coscienza tanto più si sente responsabile e peccatore.
E pochi versi dopo ancora il poeta annota che i piedi di Virgilio lasciarono andare la fretta «che l’onestade ad ogn’atto dismaga», ovvero la fretta toglie, sottrae la bellezza ad ogni cosa bella. Qualunque cosa tu faccia, falla bene, per non sminuirne la bellezza.
E poi ancora leggiamo: «Perder tempo a chi più sa più spiace», cioè quanto più sei consapevole, tanto meno vuoi sprecare tempo. Una perla di saggezza dopo l’altra, che derivano dall’esperienza di vita dell’autore, che documentano e illuminano il nostro al di qua, prima dell’aldilà.
La casa editrice Clio ha pubblicato un’edizione della DIVINA COMMEDIA curata da Beatrice PANEBIANCO e Giovanni FIGHERA.
Sul sito Principato è possibile leggere una presentazione del testo e accedere alla demo del volume sulla piattaforma bSmart.
Grazie professore e speriamo che i suoi colleghi innamorati del grande valore della Divina Commedia sappiano trasmettere alle nuove generazioni la bellezza del “signore dell’Altissimo canto” .