Nato nel 1875 a Lubecca, Thomas Mann esordisce a diciannove anni con il racconto Perduta che, come gran parte delle opere giovanili, rivela l’influsso dello scrittore e saggista francese Paul Bourget, la cui psicologia del “decadente” è comune a non pochi personaggi degli esordi manniani, e ritorna anche nelle opere della maturità. Fra i numi tutelari in questa fase vanno citati inoltre Wagner, Nietzsche e, in un secondo momento, Schopenhauer.
Nel 1901 viene pubblicata l’opera che impone lo scrittore all’attenzione della critica e assai presto anche del pubblico, I Buddenbrook. Il romanzo narra, con chiara ispirazione autobiografica, la decadenza di una famiglia borghese di Lubecca attraverso quattro generazioni. Ai Buddenbrook fanno seguito alcuni racconti, fra i quali spiccano in particolare Tonio Kröger, Tristano e La morte a Venezia, in cui lo scrittore approfondisce il tema del ruolo dell’artista nella società borghese.
Sebbene Thomas Mann non nasconda la sua scarsa simpatia per il mondo filisteo e piccoloborghese, rifiutato tuttavia sempre a partire da una motivazione di ordine estetico-emotivo, questa prima fase creativa è all’insegna del disimpegno politico. La prima guerra mondiale, interpretata soprattutto come contrapposizione di “culture”, lo costringe a fare i conti anche con questa sfera: per contraddittorio possa sembrare, le sue Considerazioni di un impolitico (1918) sono un libro profondamente politico.
Gli anni ’20 e ’30 segnano l’abbandono delle posizioni conservatrici e, a livello letterario, il distacco dalle tematiche decadenti. Espressione di questo mutamento sono in particolare i romanzi La montagna incantata (1924) e Giuseppe e i suoi fratelli (1933-43). Nel primo Thomas Mann proponeva un’ardita riflessione sulla crisi che aveva scosso le coscienze europee negli ultimi decenni; il secondo, in cui è ripresa la vicenda di Giuseppe narrata nell’Antico Testamento, rappresenta invece il tentativo di condurre a superamento le contraddizioni irrisolte della Montagna incantata.
Ai grandi modelli del passato in questa nuova fase si sostituiscono la figura e l’opera di Goethe, al quale sono dedicati numerosi studi, e che è il protagonista del romanzo Carlotta a Weimar (1939), incentrato sul tema dell’isolamento esistenziale dell’artista.
Costretto all’esilio dall’avvento di Hitler, Thomas Mann si stabilisce in Francia, quindi in Svizzera e infine negli Stati Uniti, dove negli anni della seconda guerra mondiale svolge un’intensa attività di propaganda antifascista. Sintesi estrema delle sue riflessioni sul destino della Germania e del popolo tedesco è il romanzo Doctor Faustus (1947), il cui protagonista, il musicista Adrian Leverkühn, stringe un patto col diavolo per acuire eccezionalmente la propria sensibilità. La tragica fine della sua vicenda umana e artistica coincide con la sconfitta della Germania nazista.
Nelle opere più significative del dopoguerra, L’eletto (1951) e Confessioni del cavaliere d’industria Felix Krull (1954), prevale decisamente l’elemento ironico e umoristico.
Thomas Mann muore a Zurigo (dove era tornato a vivere nel 1952) il 12 agosto 1955. Con lui è scomparso forse l’ultimo erede della grande cultura borghese, lo scrittore che come pochi altri nel Novecento ha saputo rappresentare la crisi spirituale europea.