Oslo era bruttina trent’anni fa, ma qualche sforzo s’è fatto. C’è il Palazzo dell’Opera progettata dai bravi archistar dello studio internazionale Snøetta, c’è il trampolino delle Olimpiadi invernali.
C’è il Vigelandsparken, il giardino delle statue di pietra; e c’è l’autobus quattro punto 0, gira da solo e non tira sotto i pedoni.
Purtroppo il Municipio è rimasto, con quelle due torri che richiamano un regime che qui non c’è mai stato.
Spese pazze: non si tocca una banconota né una moneta e anche per il caffè è sempre meglio la carta, addebito il mese prossimo. Lungo le strade si paga qualche galleria, qualche ponte e qualche ingresso in città. Senza fermarsi, il conto arriva a casa la settimana dopo. Passa una Tesla, una tra le tante: qui si va così piano che la ricarica non diventa mai urgente.
Booking.com: fra tutte le case prenotate s’è vista la padrona di una sola, un’ucraina dall’aria soddisfatta e fiera di avercela fatta. Una casa linda e accessoriata, specchio della sua vita lontana dall’inferno sovietico e dalle storie del dopo. Tutte programmate le altre case: password per entrare, istruzioni per l’uso, nessuna accoglienza personale, poi la recensione, stelle e stelline.
Bergen casette di legno colorato, riflessi sull’acqua e un mercato del pesce che fa Nord. Ci invita a pranzo una famigliola locale: villetta ordinata, scarpe sull’uscio e nemmeno un grammo di polvere. Ingredienti dietetici e solo un assaggio del vino degli italiani in gita: la signora non beve e il marito beve un goccio per buona educazione.
Nel pomeriggio proseguiamo la visita di Bergen, leggeri e digeriti.
Bruma e pioggia si adattano a questo paesaggio di tundra nordica. La strada scorre tra laghetti, acquitrini, muschi e licheni. Te la puoi immaginare col sole o con la neve, ma oggi va bene così, è tundra, umida come da regolamento.
Arriviamo a Geilo, stazione da sciatori invernali, ma la salita è stata dolce, senza tornanti e senza sfiorare pareti di roccia: siamo nelle Alpi norvegesi e si scia a bassa quota. L’appartamento è lussuoso e non s’invidia St. Moritz.
Due ore di salita e finalmente un fiordo, immenso e profondo.
Lo ammiriamo da una roccia a picco sull’acqua, 600 metri con la testa all’ingiù.
Montagne arrotondate, levigate dai ghiacci e l’acqua del mare che si spinge dentro, lenta, per chilometri. Nemmeno una rete per le cadute accidentali, né un Pronto Soccorso per gli sfiniti che giungono quassù.
Qui c’è la folla dei fortunati a cui è arrivata in sorte una giornata di sole e di orizzonti assicurati.
Siamo a Preikestolen, Norvegia, la meta che vale il viaggio.